olio su tela, cm 72×60

firmato e datato in alto a sinistra P. Conti 1919

È Filippo De Pisis, con cui Conti sviluppa in questo periodo un’intensa corrispondenza, a darci di quest’opera una delle migliori descrizioni: “Mi fa pensare come a una vecchia incisione di fumatori di oppio, copiata da un Verlaine, per il miracolo di una sua notte oppiacea e deserta, diventato pittore”.

E, ancora, la straordinaria capacità combinatoria di Conti a conferire al dipinto il suo fascino stravagante. L’idea del manichino metafisico è qui, infatti, solo un guizzo, sognato nella pace delle tranquille osterie toscane, che ridimensiona forme e volumi. Semmai il trascolorare dei contorni in un’improvvisa accensione lirica ricorda un’avanguardia più pura, nella linea astratta da Malevich a Delaimay, che si innesta sul motivo di partenza reinventandolo totalmente.  Questi irradianti esercizi del colore, de Chirico li tenterà alla fine degli anni Venti, proprio ripensando ad analoghi spunti dell’avanguardia.